sabato 30 maggio 2009

Corsi e ricorsi storici

Chiedo scusa per l’assenza. Oggi vi voglio raccontare una storia.
Nella redazione televisiva presso cui lavoro, curo la scaletta e i contenuti di un talk show che va in onda in prime time. Nella settimana che si è appena chiusa, abbiamo dedicato una puntata a Giorgio Ambrosoli.
Commissario liquidatore della Banca privata italiana, l’avvocato Ambrosoli fu ucciso nella notte tra l’11 e il 12 luglio del 1979. Mandante dell’assassinio fu Michele Sindona, banchiere siciliano al centro di un complesso intreccio di interessi politico-mafiosi.
Nel settembre del 1974, Ambrosoli ricevette dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli l’incarico di liquidare la Banca privata italiana di Sindona. Un compito che l’avvocato portò a termine in una manciata di mesi. Non senza incontrare ostacoli. Ambrosoli subì pressioni, minacce, tentativi di corruzione. Obiettivo, il suo sì al piano di risanamento della Bpi, tramite Bankitalia e con soldi pubblici. Un piano che, se fosse passato, avrebbe peraltro evitato a Sindona ogni addebito penale e civile.
Ambrosoli non cedette. E nel febbraio dell’anno successivo, in un appunto alla moglie Annalori, scrisse: “Pagherò a molto caro prezzo l’incarico. Qualunque cosa succeda, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo”.
L’avvocato passò gli anni seguenti a districare la matassa delle società di Sindona. Gli interessi in gioco erano tanti e assai forti. Di mezzo c’erano politica, mafia, la loggia massonica Propaganda 2, il Vaticano (ricordate Roberto Calvi?).
All’inchiesta lavoravano anche le autorità americane, interessate al crac della Franklin Bank del banchiere siciliano. Nel giorno successivo alla propria morte, Ambrosoli avrebbe dovuto incontrarle per sottoscrivere una dichiarazione formale.
Il 18 marzo del 1986, Michele Sindona e Roberto Venetucci, trafficante d’armi che aveva messo il banchiere in contatto con il killer che avrebbe materialmente compiuto l’omicidio, vennero condannati all’ergastolo per l’assassinio di Ambrosoli.
Sindona morì in carcere quattro giorni dopo, il 22 marzo, per gli effetti dell’avvelenamento da cianuro, in circostanze mai del tutto chiarite.
In studio, tra i nostri ospiti, c’era Umberto Ambrosoli, figlio dell’avvocato e autore del libro “Qualunque cosa succeda” (Sironi editore), in libreria dal 20 maggio.
Mi preme ora ricordare tutti i tristi anniversari che ho trascurato nelle ultime due settimane: Eros Rabbiani, impiegato (22 maggio); Giovanni Falcone, giudice, Francesca Morvillo, giudice, e la scorta del giudice Falcone (23 maggio); Gianluca Congiusca, commerciante (24 maggio); le vittime della strage di via Georgofili (27 maggio); le vittime di piazza della Loggia (28 maggio). La fonte, come sempre, è www.beppegrillo.it.

martedì 19 maggio 2009

L'orologio della giustizia

Impagabile Tg5. Ogni volta che lo vedo mi incazzo. Questa sera, mega-infornata di apertura sul Nostro e sul caso Mills.
Premessa: i giudici hanno riconosciuto il distinto avvocato inglese David Mills colpevole di falsa testimonianza. Il britannico galantuomo avrebbe detto il falso per salvare Fininvest. Reazione a caldo del Cavaliere: “riferirò in Parlamento, dirò cosa penso. Non mi faccio processare da queste toghe”.
Voce alla difesa. In apertura di tiggì è comparso il mefistofelico onorevole avvocato Niccolò Ghedini, legale del buon Silvio e per questo da lui portato sugli scranni della Camera, da dove anche stasera s’è collegato per una riflessione sulla sentenza.
Poi è toccato alla maggioranza. Che, per l’occasione, ha rispolverato il vecchio caro tormentone della “giustizia a orologeria”. Il piccolo Daniele Capezzone l’ha recitato tutto a memoria, emozionato come un bimbo in piedi sulla sedia la sera di Natale. Citando l’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, verrebbe da dire: ci dicano i gentili signori della maggioranza quando si può parlare di – e praticare la – giustizia. Ci sono dei tempi migliori di altri? Esiste un calendario che possiamo tenere a mente?
Comunque, gli appassionatissimi del Papi possono stare tranquilli: grazie al lodo Alfano – che sospende i processi a carico delle quattro più alte figure istituzionali dello Stato (presidente della Repubblica, presidente del Consiglio e presidenti di Camera e Senato) per tutta la durata del loro mandato, l’idolo delle diciottenni risulta al momento intoccabile.
Altra mossa da prestigiatori del tiggì: dopo averci mostrato i legali del capo del governo commentare la sentenza dei giudici e gli uomini della maggioranza demolirla, il notiziario ha spostato la scena a L’Aquila. Dove ha dato al primo ministro il modo di gettare tutto il fango che vuole (di nuovo) sui giudici e di ergersi a statista e condottiero parlando di G8 e di ricostruzione in Abruzzo.
Temo di essere costretta a dar ragione all’ex direttore Enrico Mentana: Mediaset è oramai uno spudorato comitato elettorale. E spudorato lo aggiungo io.

domenica 17 maggio 2009

Libera informazione in libero Stato

A parte la nuova raffica di insulti rivolta all’indirizzo di Repubblica per aver pubblicato dieci domande – senza risposta – dirette al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul caso Noemi, a rigirare il coltello nella piaga della cattiva informazione italiana è il confronto con la Spagna. Sia chiaro: non riteniamo quella di Repubblica cattiva informazione, avendo peraltro citato il bell’intervento di D’Avanzo a sostegno delle nostre riflessioni. Consideriamo cattiva informazione semmai tutto il contorno. Quei giornalisti, cioè, e quei giornali, e tv, e direttori, che fanno il gioco del don Rodrigo de noantri. In Italia è additato come pessimo l’esempio di Repubblica solo perché i cronisti che ci lavorano fanno quello che il loro mestiere richiede. Altrove, i segnali che arrivano sono ben altri.
Prendiamo la Spagna, appunto. Il capo della sezione sportiva della Tve, la televisione di Stato spagnola, è stato costretto a lasciare il proprio incarico perché mercoledì scorso, durante il primo tempo della finale tra Atletico Bilbao e Barcellona per la Coppa del Re, nello stadio Mestalla di Valencia, con un gioco d'audio da maestro, ha coperto i fischi delle tifoserie basca e catalana ai sovrani di Spagna.
Ricapitolando. Un giornalista in posizione di responsabilità ha manipolato l’informazione commettendo quello che per tutti i giornalisti del mondo dovrebbe essere un peccato micidiale, ed è stato invitato a oltrepassare in uscita la porta. Ma non solo. Alle 20.45 di giovedì la prima rete pubblica spagnola ha fatto pubblicamente ammenda, come riportava venerdì il Corriere della Sera.
E in Italia? Qui le manipolazioni sono medaglie al valore, come raccontano Peter Gomez e Marco Travaglio nel libro “Regime”. Noi non abbiamo mai avuto il piacere di vedere il signor S. fare l’infantile gesto delle corna a Caceres, in Spagna; ci hanno privati delle immagini dello scontro con Martin Schulz nell’aula europarlamentare, all’inizio del semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue, nel 2003; né ci ricordiamo di aver visto di recente il Mastrolaido minare le scariche della mitraglia all’indirizzo dei giornalisti russi, durante una conferenza stampa.
L’informazione quotidiana, ahinoi, è puntualmente adulterata. I più fortunati riescono a fare la tara e a farsi comunque un’idea del Paese in cui vivono. Gli altri no. E da come votano, purtroppo, alla fine si vede.

venerdì 15 maggio 2009

Signor S., permette una domanda?

Segnalo l'articolo di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica di giovedì 14 maggio, "Le dieci domande mai poste al Cavaliere", pagine 8 e 9.

martedì 12 maggio 2009

Sono anche fatti miei

Tralasciando le ultime, rivoltanti dichiarazioni sui migranti che vengono in Italia a bordo di barconi (parlando dall’Egitto, dove si trova per un vertice bilaterale, ha detto: “sono persone che hanno pagato un biglietto, non persone spinte da una speciale situazione in quei Paesi dove sarebbero vittime di ingiustizie”), desidero tornare sulla questione Noemi.
Più d’uno, nei giorni scorsi, ha opposto al mio interessamento l’obiezione che si tratta di una vicenda privata. A mio avviso, non lo è. Ecco perché.
Nelle dichiarazioni riportate da Repubblica il 3 maggio, Veronica è finalmente sbottata: “non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni”. E ha confessato: “ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. E’ stato tutto inutile”.
Primo punto: le minorenni. Breve riassunto delle puntate precedenti.
La sera del 26 aprile, il nostro arzillo presidente del Consiglio si è portato alla festa di diciotto anni di una squinzietta di Napoli, tale Noemi Letizia, aspetto gradevole e sogni da star. Famiglia modesta, il papà è un impiegato comunale che guadagna poco più di 12mila euro l’anno e la mamma una bella donna con qualche esperienza in tv locali.
Come si sono conosciuti? Che rapporto c’è tra loro? In oltre due settimane, nessuno è stato in grado di chiarirlo. E molti, senza l’appiglio di risposte convincenti, hanno formulato le ipotesi peggiori. Cioè che il nostro capo del governo – 73 anni a settembre – possa aver intrattenuto, o intrattenga ancora, una relazione di natura tutt’altro che filiale con la neodiciottenne.
E’ importante che il primo ministro in carica precisi, una volta per tutte, che non è affatto così. E che ci dica quando, dove, come e per mezzo di chi ha incontrato la ragazza. Anche con un’audizione in Parlamento. Perché, a meno che il codice penale non sia cambiato, in Italia esiste una legge, la 38/2006, che punisce “chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica”. Insomma, farsi una minorenne in cambio di regali, gioielli, promesse di fulminea carriera nello spettacolo e/o nella politica è reato. Ed è di pubblica rilevanza che il nostro primo ministro ci liberi una volta per tutte dal sospetto di essersene macchiato.
Altro punto: la salute. In che senso il nostro presidente del Consiglio “non sta bene”? E’ in grado di continuare il proprio lavoro? Sarebbe così cortese da darci rassicurazioni in merito? In oltre due settimane, nessuno l’ha fatto.
E sfido chiunque a dire ancora che si tratta di faccende private.

venerdì 8 maggio 2009

Una Rosa per Matteo

Leggo sui giornali la cronaca della proposta/provocazione di Matteo Salvini, leghista di lunghissimo corso e direttore di Radio Padana, e insorgo. Ma insomma. Posti e/o vagoni della metropolitana riservati ai milanesi doc? Per proteggerli dal pericolo-immigrati? E io? Cosa sono, più scema? Cos’ho fatto io per meritarmi la compagnia di inopportuni stranieri sui treni che viaggiano sottoterra? Sono stanca di sentire il mio giovane e sinuoso corpo oggetto dei loro sguardi. Anche io merito di essere tutelata. Altrimenti, ha ragione il segretario del Pd Dario Franceschini: torniamo alle leggi razziali, con i cittadini di serie A (i milanesi) e quelli di tipo B (i non milanesi e i terroni).
Finché questo spiacevole equivoco non sarà chiarito, non posso che figurarmi due sole, possibili soluzioni. O attuo finalmente le fantasie da tempo coltivate e mi procuro documenti falsi dai quali risulto essere Ludovica Brambilla Fumagalli, 25 anni (giacché devo falsificare, falsifico per bene), nata e cresciuta a Milano, lavorando nel contempo sull’inflessione dialettale, non ancora perfettamente ambrosiana. Oppure riscopro l’orgoglio delle origini, mi metto comoda sul sedile riservato ai milanesi e – come Rosa Louise Parks, la donna di colore che nel 1955 si rifiutò di cedere il proprio posto in autobus a un bianco nella razzista America – spernacchio chiunque mi intimi di alzarmi e mettermi in un cantuccio.
Pensandoci bene, la seconda soluzione darebbe assai più soddisfazione.

giovedì 7 maggio 2009

Se telefonando

Italia, Roma, Palazzo Chigi. Due forze politiche al governo. Il Popolo delle Libertà, o Pdl, e la Lega Nord. Una tiene molto a un certo provvedimento contro le intercettazioni telefoniche, l’altra vuole una legge sulla sicurezza che – tra l’altro – fa dell’immigrazione clandestina un illecito penale. Visto che vogliono far funzionare la convivenza, trovano un punto d’incontro e pongono la fiducia su tutti e due i testi.
In altre parole, o le due leggi passano l’esame del Parlamento con la maggioranza dei voti oppure cade il governo. La fiducia è solitamente un modo per blindare una legge, cioè per portarla a sicura approvazione proteggendola dai colpi dei cosiddetti “franchi tiratori” (quei parlamentari che pur essendo dalla parte politica di chi propone una legge votano contro). Con la fiducia, la Lega protegge la legge sulla sicurezza dai voti contrari degli alleati del Pdl (An in particolare) e il Pdl protegge la misura anti-intercettazioni.
Parliamone. Ecco cosa prevede il ddl intercettazioni: le intercettazioni saranno consentite soltanto per i reati che prevedono una pena superiore ai cinque anni, esclusi mafia e terrorismo (e come si fa a capire se è il caso o no di consentirle, visto che assai spesso è proprio tramite intercettazione che si aprono le indagini, si raccolgono elementi di prova e si comprende quanto grave è un reato e quanto dunque deve essere punito?); potranno avere una durata massima di 45 giorni, prorogabile per altri 15; i magistrati potranno concederle solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza (vai a capire quali); vietata la pubblicazione dei testi (forse al massimo una sintesi quando non saranno più coperti dal segreto); in caso di pubblicazione, il giornalista va incontro al carcere (pena minima sei mesi).
Ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che le intercettazioni telefoniche sono tra i più grandi timori degli italiani. “Ai miei comizi”, ci ha detto tante volte il primo ministro Silvio Berlusconi, “quando chiedo chi ha paura di essere intercettato, tutti alzano la mano”. Strano. Mai conosciuto alcuno che confessasse una tale preoccupazione. Poi sfoglio il libro che sto leggendo, “Se li conosci li eviti” di Peter Gomez e Marco Travaglio, e un altro libro degli stessi autori, “Onorevoli wanted”, e in un colpo d’occhio mi è chiaro chi davvero teme di essere intercettato. Teme di essere intercettato chi ha qualcosa – spesso parecchie cose – da nascondere. Temono di essere intercettati molti di quelli che oggi siedono sugli scranni di Camera e Senato. Per intenderci, gli stessi che lunedì 18 maggio saranno chiamati a votare la fiducia sul provvedimento anti-intercettazioni. Istinto di autoconservazione, come si dice.

mercoledì 6 maggio 2009

Telefilm di ieri e di oggi

La vicenda la conoscete. In visita a una scuola media della borgata di Villaggio Prenestino, estrema periferia di Roma, nel cui cortile giovedì scorso un 14enne ha accoltellato un 15enne, il sindaco della Capitale Gianni Alemanno ha detto che i telefilm come “Romanzo criminale”, in onda su Sky, contribuiscono alla violenza fra i giovani.
Le storie raccontate nella serie, ispirata al romanzo dello scrittore Giancarlo De Cataldo, si svolgono nella Roma di piombo degli anni Settanta. “L’avevo detto fin dall'inizio che alcune operazioni culturali come ‘Romanzo criminale’ o altre simili non aiutano”, ha tuonato il primo cittadino. “Hanno lanciato mode, atteggiamenti e modi di fare sbagliati”.
Replica a stretto giro del produttore Riccardo Tozzi, di Michele Placido, consulente artistico del telefilm e regista dell'omonimo film, e di De Cataldo.
Voci anche dall’opposizione. Francesco Rutelli (Pd): “una sciocchezza”. Roberto Rao (Udc): “scaricare su una serie televisiva la colpa delle sempre più frequenti risse tra giovani armati di coltello è imbarazzante prima ancora che ridicolo”.
Questa la vicenda. Poi sfoglio il libro che sto leggendo, “Se li conosci li eviti” (di Peter Gomez e Marco Travaglio, vedi colonna a destra), e a pagina 66 leggo che il 20 novembre del 1981 Alemanno fu arrestato a Roma “con l’accusa di aver partecipato con quattro camerati all’aggressione di uno studente di ventitré anni: un pestaggio con tanto di spranghe di ferro, costato al giovane il ricovero per dieci giorni in ospedale”. In seguito, Alemanno fu assolto per non aver commesso il fatto.
Anyway, chissà quali telefilm trasmettevano all’epoca.

martedì 5 maggio 2009

Cuore e batticuore

“Sono a casa amore”, ghignava un Jack Torrance stravolto dalla follia a un’atterrita Wendy brandendole contro un’ascia, nelle stanze del lugubre Overlook Hotel. Il film era “Shining”, di Stanley Kubrick, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King.
Lo abbiamo rivisto in edizione restaurata la sera del 5 maggio in apertura dei principali tiggì. Giusto il tempo di far preparare al team del capo del governo e di Mediaset Silvio Berlusconi un adeguato piano di contrattacco, ed ecco che finalmente i maggiori notiziari nazionali si sono decisi ad aprire l’edizione della sera con la storia che da quasi due settimane imperversa su giornali, siti web e televisioni di tutto il mondo: l’annunciato e, pare, imminente divorzio tra il nostro primo ministro e sua moglie, Veronica Lario. Istruttivo.
Quasi quanto “Porta a porta”, che per dare spazio al presidente del Consiglio e alla sua linea difensiva è arrivato a tirare in ballo, nell'ordine: il primo anno di vita del nuovo governo Berlusconi; un mese esatto dal terremoto in Abruzzo; il decreto sulla ricostruzione nel dopo terremoto in Abruzzo; le promesse di Berlusconi sulla consegna di nuove case agli abruzzesi. Pregiatissimo.
Per finire. Si prevedono vendite record per “Chi”, da mercoledì in edicola. Con tutti i retroscena della festa di compleanno della neodiciottenne Noemi. Come negarlo: golosissimo.

Piatto ricco

Sia chiaro: per me la questione divorzio (voi sapete a cosa mi riferisco), con tutti gli squarci che apre, è assolutamente di primo piano. Non dirigo mica un tiggì nazionale, io: non sono costretta a parlare dell’allarme-allergie-di-primavera pur di non approfondire la spinosa faccenda.
Sono però d’accordo con il direttore di La7 News e Sport Antonello Piroso, che ancora oggi, a “Omnibus”, ricordava: nel mondo, intanto, altri fatti si susseguono.
Per esempio. Ieri, lunedì 4 maggio, a Palermo, nel corso del convegno “Sud 2007-2013. Ultima occasione”, è stata apposta la firma sul “contratto per il Sud”, un documento contenente gli impegni del governo a favore del Mezzogiorno.Oltre al ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, all’incontro c’erano: Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica); Mauro Moretti, amministratore delegato Ferrovie dello Stato; Fulvio Conti, ad Enel; Massimo Ponzellini, presidente Impregilo; Giuseppe Mussari, presidente Monte Paschi di Siena.
E di che cifre si parla, di grazia? Lo apprendiamo dal testo dell’intervento del ministro Scajola. “Nell’ultima seduta del Cipe, il governo ha destinato 17,8 miliardi di euro alle infrastrutture: con queste risorse, si potrà avviare la realizzazione del ponte sullo Stretto, completare la Salerno-Reggio Calabria, la statale Jonica, la rete regionale campana, le linee metropolitane di Napoli, Palermo e Catania”. Tutte opere che “si aggiungeranno alle altre già completate o in avanzato stato di realizzazione: la ristrutturazione degli aeroporti di Palermo e Catania, il consolidamento e ammodernamento dei porti di Palermo e Messina, gli interventi sulle tratte autostradali Siracusa-Gela e Caltanissetta-Gela e ferrovie Palermo-Messina e Palermo-Punta Raisi”. E ancora: “abbiamo concluso in tempi rapidissimi l’istruttoria del Programma attuativo regionale (Fas), per trasmetterlo al prossimo Cipe”. Ciò vuol dire “risorse per oltre 4 miliardi di euro da spendere qui, in Sicilia”. A tutto questo vanno sommati i “fondi strutturali europei”, che costituiscono “un’opportunità da non perdere”, e i “capitali privati”. E poi investimenti per il comparto turistico, l’innovazione e la ricerca.
Precisando che siamo assolutamente convinti della buona fede di quanti erano al convegno (e ci mancherebbe altro), la storia ci insegna che dove c’è piatto ricco c’è anche qualcuno ansioso di ficcarcisi. Sempre a scapito dell’interesse nazionale. Quindi, il governo ci rassicuri che vigilerà sui flussi di denaro e sui lavori pubblici: affinché siano davvero utili alla comunità; affinché nessuno ci guadagni costruendo alla meno peggio, stile Abruzzo; affinché le mafie non mettano neppure un dito – neanche per sbaglio – su appalti e/o subappalti.
P. S. Ci ha fatto tremare i polsi l’inserimento, nel ddl sicurezza, della misura che – di fatto – rimuove l’obbligo per l’imprenditore di denunciare il pizzo. Ma un disegno di legge non è ancora una legge. Prima che lo diventi, il Parlamento ha tempo e modo di porre rimedio alle sviste. Ci aspettiamo, e speriamo, che la rimozione venga rimossa.