martedì 13 ottobre 2009
Vergogna, vergogna, vergogna
Siamo proprio il Paese dei nani e delle ballerine.
sabato 26 settembre 2009
Andiamo bene
Dunque è questa l'etica della finanza che sarebbe dovuta risorgere dalle ceneri della crisi dei mercati?
Andiamo bene.
domenica 20 settembre 2009
Il fattore G(nocca)
Sempre sui giornali, si legge che le tre portatrici-sane-di-poderose-misure dovranno subire le prese in giro degli artisti di Colorado Cafè. “Ma siamo autoironiche e ci divertiremo”, promettono.
E noialtre, che dobbiamo subire tutto questo da casa? Siamo al punto di partenza, alla riedizione dell’Italia alla “Videocracy”, dove “basta apparire”, possibilmente con un seno mastodontico e microcostumi a coprirlo il meno possibile. Anche noi siamo autoironiche – per sopportare tutto questo alla lunga dobbiamo diventarlo – ma non ci divertiremo affatto.
Pretendo un risarcimento per danni morali.
mercoledì 16 settembre 2009
Traslochi
"Cosa?"
"Pier e Francesco. Forse prendono casa insieme."
"Ah, sì?"
"Un bilocale in Centro."
"E il Gianfra?"
"Tenta di mettere alla porta l'attuale Padrone di Casa."
"La vecchia Casa delle libertà..."
"Già."
"Riuscirà?"
"Non so. Il Padrone di Casa ha servitù molto fedele."
"E vicini assai rumorosi."
"Non dirlo al Gianfra. Proprio non li regge."
"Bobo e l'Umberto."
"Loro."
"Quindi?"
"Non so. Aspettiamo e stiamo a vedere."
"Già."
Bis-Unto dal Signore
Parentesi: l'arcivescono de L'Aquila Giuseppe Molinari, già vescovo di Rieti, mi impartì la cresima nel lontano 1992. Mi viene da piangere.
martedì 15 settembre 2009
L'ora del tramonto
Se a Raitre l'hanno fatto apposta, sono geniali.
domenica 6 settembre 2009
Il giornalista-giornalista
Ho appena visto "Fortapàsc", film di Marco Risi dedicato alla vita e al lavoro di Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra all'età di 26 anni, il 23 settembre del 1985.
Il giornalista-giornalista è quello che scova i fatti e li racconta alla gente, sicché la gente può sapere e decidere consapevolmente.
Io sono, nel mio piccolo, una giornalista-impiegata. Sono una ruota dell'ingranaggio - burbera, scarsamente oliata, ma pur sempre una ruota - che serve a far andare la macchina. La cosa in sé non mi dispiace: servono anche i giornalisti-impiegati, sennò la macchina non va e dove li pubblicano gli scoop i giornalisti-giornalisti?
Il problema è che, come si dice a un certo punto del film, "l'Italia non è un Paese per giornalisti-giornalisti". E, aggiungo io, senza giornalisti-giornalisti si fa un'informazione senza consistenza. Quindi, priva di utilità. La gente non conosce/non capisce i fatti, e così non ha gli strumenti per decidere consapevolmente.
Alla criminalità organizzata - quella che ha ammazzato Giancarlo Siani a 26 anni - non piace uccidere. Perché uccidere fa "scruscio", fa rumore. Attira l'attenzione. Ecco perché - forse - oggi la malavita sarà felice di operare e profilerare in un sistema in cui per zittire i pochi giornalisti-giornalisti che ancora esistono basta screditarli pubblicamente attraverso le tv e/o i giornali del Grande Editore oppure fare pressione sui loro piccoli editori (banche, industriali, etc) attraverso i poteri del Grande Editore Per Giunta Primo Ministro (la pubblicità che langue, i finanziamenti che non arrivano più, etc). Non si muore più. Agonizza l'informazione, non le persone. Ma, alla fine, tra mille paure e autocensure, la razza del giornalista-giornalista si estingue, e resta soltanto il giornalista-impiegato. Metà pacchetto, zero utilità.
Alla memoria di tutti i giornalisti-giornalisti ammazzati nello svolgimento del proprio lavoro. Tra questi: Beppe Alfano, Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Mauro Brutto, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Maria Grazia Cuturi, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Carmine Pecorelli, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato.
domenica 30 agosto 2009
Non è la stessa cosa
"Finché i moralisti speculeranno su ciò che succede sotto le lenzuola di altri, noi ficcheremo il naso (turandocelo) sotto le loro". Così scrive Vittorio Feltri, direttore de Il Giornale. Lo sa, Vittorio Feltri, che non tutte le lenzuola sono uguali, e che quelle degli uomini pubblici - Bill Clinton, i fratelli Kennedy, giù giù giù fino a Silvio Berlusconi - sono molto meno uguali delle altre?
Chiunque abbia studiato un minimo di diritto dell'informazione - e un giornalista, fosse anche il direttore de Il Giornale, l'ha fatto sicuramente, perché te lo chiedono all'esame di Stato - sa che la tutela del diritto alla riservatezza non può essere per un politico rigida e severa come lo è per una persona qualunque. Per un semplice motivo: un uomo politico ricopre un ruolo pubblico ed è chiamato a prendere decisioni vitali per l'intera comunità, che non possono essere inquinate da fatti poco chiari attinenti la sua vita privata. Se tra gli amici di un uomo politico figurano loschi individui avvezzi a traffici poco chiari - corruzione, riciclaggio, mafia, camorra, etc (aggiungere a piacimento, nda) - io lo devo sapere, e non posso essere zittita col refrain "rispetta la privacy del presidente del Consiglio". Se un uomo politico che ricopre un'importante carica istituzionale sta male, ebbene questo non è un dato sensibile da coprire col segreto, è un'informazione che i cittadini devono avere, perché hanno diritto di sapere se il candidato che hanno scelto e che li governa può occuparsi degli affari della comunità. E ancora: se un uomo politico fa pubblicamente pappa e ciccia con la Chiesa, va al Family day e sbertuccia gli omosessuali poi, in realtà, è un uomo separato che va con centinaia di donne e le aiuta nella carriera sperperando risorse pubbliche (succede quando le manda a lavorare in Rai o quando - ancor peggio - le mette in lista per i consigli comunali, provinciali e regionali, la Camera, l'Europarlamento) - io lo devo sapere. Io devo sapere in quali condizioni lavora il mio presidente del Consiglio, come amministra la cosa pubblica e che fine fa fare ai soldi che io pago versando le mie belle tasse.
Quindi, non mi interessa se il direttore del giornale dei vescovi preferisce gli uomini alle donne - mi è chiara, è ovvio, l'ipocrisia, ma non mi interessa adesso - e non mi importa se il direttore di Repubblica compra case in nero. Quello che mi preme è che il mio presidente del Consiglio - perché sì, perdio, è anche mio - risponda alle 10, 20, 100 domande dei giornalisti. Io mi merito un capo di governo che rispetti il popolo sovrano (vedi Costituzione della Repubblica, articolo 1) rispettando innanzitutto la stampa.
Post scriptum. Se il signor B. non si fosse rivolto al Tribunale contro le 10 domande di Repubblica - colpevoli, secondo lui, di diffamarlo - forse il tentativo del suo scagnozzo di spostare l'attenzione su altro al grido di "chi è senza peccato scagli la prima pietra" sarebbe riuscito. Ma puntando il dito contro le 10 domande è riuscito a ricordare a tutti che in oltre quattro mesi di articoli, inchieste e rivelazioni non ha dato risposta ad alcuno dei pochi, semplici, legittimi interrogativi che gli sono stati posti. Insomma, è tornato protagonista. Proprio non ce la fa, a non stare sotto i riflettori.
sabato 29 agosto 2009
Back to business
Non mi ha sorpreso vedere il signor B. più incollato che mai alla sua poltrona dopo tutte le rivelazioni a base di sesso che siamo stati costretti a leggere in estate. Nessun cittadino di nessun Paese al mondo merita un capo di governo che lo umilia imponendo all’agenda pubblica i propri capricci e i propri interessi e che resta in sella dopo averlo fatto. Ma che rimanesse a cavallo in un Paese come il nostro era prevedibile. Voglio dire, mica noi vantiamo una vera democrazia.
A questo punto, però, mi indigna l’ostinata – e interessata – fedeltà dei suoi accoliti, la cocciuta – e, anche qui, interessata – indifferenza di gran parte dei mezzi di comunicazione, e la passività di quanti – come me – si incazzano ma non fanno mai assolutamente niente. Perché ce la facciamo scivolare addosso? Perché ci rendiamo così complici?
Il mestiere che ho scelto, in un Paese come l’Italia, premia i pavidi e i conformisti. Io conformista lo sono con una certa difficoltà, pavida mi sento quasi sempre. E come posso non avere paura quando vedo certa stampa da regime rispondere col pestaggio a sangue al lavoro – magari non sempre ineccepibile, però sicuramente legittimo – di giornalisti di ogni parte?
Ognuno di noi conserva nel cassetto più remoto della propria anima storie che vuole tenere per sé. Non sempre – per fortuna – contengono “notizie di reato” (niente di penalmente perseguibile, insomma). Ma proprio perché nessuno di noi è un santo immacolato è facile zittire qualcuno spalmandogli brutalmente in faccia episodi – più o meno gravi – di cui s’è reso protagonista nel passato. Facile, così, non entrare nel merito, sparigliare le carte, insabbiare le vicende più scomode. Della serie: “Chiudi il becco, non ti conviene fare rumore”.
Il direttore de “Il Giornale” e il suo sostituto a “Libero” stanno facendo un ottimo lavoro. Dal punto di vista di chi vuole nascondere i troppi corpi di reato del "boss" e cancellare le tracce dei suoi “pasticciacci”, è chiaro.
Ma che schifo, però. Che schifo.
In che razza di posto viviamo?
sabato 27 giugno 2009
Ce la farà il nostro eroe a farla franca?
Messaggio a doppio scopo. Uno: dire ai due "adesso sapete cosa si prova a stare nei miei panni, perciò dite ai giornali vicini alla vostra area di smetterla con questo fuoco incrociato di annunci e domande oppure ve ne pentirete". Due: far arrivare all'opinione pubblica la sensazione che, in tutti i casi, si tratti soltanto di chiacchiere costruite ad arte per gettare discredito sugli uomini politici dell'area opposta. Un tentativo di mettere tutti sullo stesso piano, insomma.
Piccolo dettaglio: nel suo caso esistono evidenze - già pubblicare sui giornali e sui siti web di mezzo mondo - che non sono solo chiacchiere.
Riuscirà stavolta il nostro eroe a farla franca?
martedì 23 giugno 2009
La notizia prima di tutto
Riassumendo. Mercoledì 17 giugno il Corriere della Sera dedica un'intera pagina all'inchiesta della procura di Bari, avente per oggetto i traffici - tangenti, belle donne - orchestrati da un imprenditore per assicurarsi i ricchi appalti della sanità. Dalle intercettazioni telefoniche - ricordate quello strumento di indagine che il Parlamento vuole ora cancellare? - è emersa un'altra notizia di reato: induzione alla prostituzione. Per farla breve: a un certo punto della sua storia professionale, il suddetto imprenditore si è reso conto che proporre a politici e funzionari belle donne anziché grandi somme di denaro per ottenere appalti nella sanità avrebbe pagato di più. Non solo: il suddetto imprenditore ha anche realizzato che procacciare a uomini ricchi e potenti la compagnia di graziose cortigiane - escort oppure semplici modelle, poco importa - avrebbe potuto rivelarsi un traffico di per sé molto redditizio. Lasciando fottere - mai termine fu più adeguato - gli appalti nella sanità.
Il Corsera pubblica anche l'intervista a una delle protagoniste del "giro d'affari" del già citato imprenditore. Costei sostiene di essersi venduta al presidente del Consiglio e di aver registrato gli incontri.
Giornale alla mano, il Tg1 capisce subito che non può tacere la vicenda. Però comprende anche che non può spararla come meriterebbe. Il Tg1 ci gira intorno, allude, tossisce, deglutisce, borbotta. E il pubblico a casa, senza il supporto dei quotidiani, non ci si raccapezza. Anche perché, dopo il primo giorno, il Tg1 smette completamente di parlare della faccenda.
Così, ieri, il presidente della Rai Paolo Garimberti ieri ha convocato il direttore del Tg1 Augusto Minzolini per fargli una ramanzina sulla completezza, l'obiettività e l'imparzialità dell'informazione. Tutto imbronciato, Augusto è comparso poco dopo sul suo tg in un messaggio videoregistrato. "Non ne abbiamo parlato", ha detto, "perché è gossip, non c'è ancora alcuna notizia certa".
Allora, ricapitoliamo. La riapertura del centro storico de L'Aquila - con una buona parte degli abitanti di città e provincia ancora nelle tende - è notizia, l'ipotesi che il presidente del Consiglio abbia pagato per godere della compagnia di giovani fanciulle no; la visita del Papa alla tomba di Padre Pio è notizia, l'ipotesi che nei festini a base di uomini potenti e fanciulle graziose girasse cocaina no; l'allarme maltempo è notizia, le registrazioni di Patrizia D'Addario, acquisite dalla magistratura, no.
Grazie, Augusto. Tu hai aperto la mia mente e mi hai fatto capire. Grazie per questa grande lezione di giornalismo.
lunedì 22 giugno 2009
Le principesse sul pisello
Alzi la mano chi in fondo in fondo pensa: "Al posto suo l'avrei fatto anch'io. Avrei stipato un mucchio di baldracche nel garage di casa mia e mi ci sarei tuffato in mezzo ogni volta che ne avessi avuto voglia. Avendo tutti quei soldi...".
Alzi la mano chi in fondo in fondo sa di essere d'accordo con Vittorio Feltri, quando su "Libero" scrive che chi tromba governa meglio (vedi "Libero" di domenica 21 giugno).
Alzi la mano chi, in fondo, pensa che sia un figo. Dunque lo vota.
Vorrei anche solo per un giorno far parte della categoria. Giusto per sapere quel che si prova.
sabato 20 giugno 2009
Che letto grande che hai
Incrociamo le dita.
sabato 30 maggio 2009
Corsi e ricorsi storici
Nella redazione televisiva presso cui lavoro, curo la scaletta e i contenuti di un talk show che va in onda in prime time. Nella settimana che si è appena chiusa, abbiamo dedicato una puntata a Giorgio Ambrosoli.
Commissario liquidatore della Banca privata italiana, l’avvocato Ambrosoli fu ucciso nella notte tra l’11 e il 12 luglio del 1979. Mandante dell’assassinio fu Michele Sindona, banchiere siciliano al centro di un complesso intreccio di interessi politico-mafiosi.
Nel settembre del 1974, Ambrosoli ricevette dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli l’incarico di liquidare la Banca privata italiana di Sindona. Un compito che l’avvocato portò a termine in una manciata di mesi. Non senza incontrare ostacoli. Ambrosoli subì pressioni, minacce, tentativi di corruzione. Obiettivo, il suo sì al piano di risanamento della Bpi, tramite Bankitalia e con soldi pubblici. Un piano che, se fosse passato, avrebbe peraltro evitato a Sindona ogni addebito penale e civile.
Ambrosoli non cedette. E nel febbraio dell’anno successivo, in un appunto alla moglie Annalori, scrisse: “Pagherò a molto caro prezzo l’incarico. Qualunque cosa succeda, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo”.
L’avvocato passò gli anni seguenti a districare la matassa delle società di Sindona. Gli interessi in gioco erano tanti e assai forti. Di mezzo c’erano politica, mafia, la loggia massonica Propaganda 2, il Vaticano (ricordate Roberto Calvi?).
All’inchiesta lavoravano anche le autorità americane, interessate al crac della Franklin Bank del banchiere siciliano. Nel giorno successivo alla propria morte, Ambrosoli avrebbe dovuto incontrarle per sottoscrivere una dichiarazione formale.
Il 18 marzo del 1986, Michele Sindona e Roberto Venetucci, trafficante d’armi che aveva messo il banchiere in contatto con il killer che avrebbe materialmente compiuto l’omicidio, vennero condannati all’ergastolo per l’assassinio di Ambrosoli.
Sindona morì in carcere quattro giorni dopo, il 22 marzo, per gli effetti dell’avvelenamento da cianuro, in circostanze mai del tutto chiarite.
In studio, tra i nostri ospiti, c’era Umberto Ambrosoli, figlio dell’avvocato e autore del libro “Qualunque cosa succeda” (Sironi editore), in libreria dal 20 maggio.
Mi preme ora ricordare tutti i tristi anniversari che ho trascurato nelle ultime due settimane: Eros Rabbiani, impiegato (22 maggio); Giovanni Falcone, giudice, Francesca Morvillo, giudice, e la scorta del giudice Falcone (23 maggio); Gianluca Congiusca, commerciante (24 maggio); le vittime della strage di via Georgofili (27 maggio); le vittime di piazza della Loggia (28 maggio). La fonte, come sempre, è www.beppegrillo.it.
martedì 19 maggio 2009
L'orologio della giustizia
Premessa: i giudici hanno riconosciuto il distinto avvocato inglese David Mills colpevole di falsa testimonianza. Il britannico galantuomo avrebbe detto il falso per salvare Fininvest. Reazione a caldo del Cavaliere: “riferirò in Parlamento, dirò cosa penso. Non mi faccio processare da queste toghe”.
Voce alla difesa. In apertura di tiggì è comparso il mefistofelico onorevole avvocato Niccolò Ghedini, legale del buon Silvio e per questo da lui portato sugli scranni della Camera, da dove anche stasera s’è collegato per una riflessione sulla sentenza.
Poi è toccato alla maggioranza. Che, per l’occasione, ha rispolverato il vecchio caro tormentone della “giustizia a orologeria”. Il piccolo Daniele Capezzone l’ha recitato tutto a memoria, emozionato come un bimbo in piedi sulla sedia la sera di Natale. Citando l’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, verrebbe da dire: ci dicano i gentili signori della maggioranza quando si può parlare di – e praticare la – giustizia. Ci sono dei tempi migliori di altri? Esiste un calendario che possiamo tenere a mente?
Comunque, gli appassionatissimi del Papi possono stare tranquilli: grazie al lodo Alfano – che sospende i processi a carico delle quattro più alte figure istituzionali dello Stato (presidente della Repubblica, presidente del Consiglio e presidenti di Camera e Senato) per tutta la durata del loro mandato, l’idolo delle diciottenni risulta al momento intoccabile.
Altra mossa da prestigiatori del tiggì: dopo averci mostrato i legali del capo del governo commentare la sentenza dei giudici e gli uomini della maggioranza demolirla, il notiziario ha spostato la scena a L’Aquila. Dove ha dato al primo ministro il modo di gettare tutto il fango che vuole (di nuovo) sui giudici e di ergersi a statista e condottiero parlando di G8 e di ricostruzione in Abruzzo.
Temo di essere costretta a dar ragione all’ex direttore Enrico Mentana: Mediaset è oramai uno spudorato comitato elettorale. E spudorato lo aggiungo io.
domenica 17 maggio 2009
Libera informazione in libero Stato
Prendiamo la Spagna, appunto. Il capo della sezione sportiva della Tve, la televisione di Stato spagnola, è stato costretto a lasciare il proprio incarico perché mercoledì scorso, durante il primo tempo della finale tra Atletico Bilbao e Barcellona per la Coppa del Re, nello stadio Mestalla di Valencia, con un gioco d'audio da maestro, ha coperto i fischi delle tifoserie basca e catalana ai sovrani di Spagna.
Ricapitolando. Un giornalista in posizione di responsabilità ha manipolato l’informazione commettendo quello che per tutti i giornalisti del mondo dovrebbe essere un peccato micidiale, ed è stato invitato a oltrepassare in uscita la porta. Ma non solo. Alle 20.45 di giovedì la prima rete pubblica spagnola ha fatto pubblicamente ammenda, come riportava venerdì il Corriere della Sera.
E in Italia? Qui le manipolazioni sono medaglie al valore, come raccontano Peter Gomez e Marco Travaglio nel libro “Regime”. Noi non abbiamo mai avuto il piacere di vedere il signor S. fare l’infantile gesto delle corna a Caceres, in Spagna; ci hanno privati delle immagini dello scontro con Martin Schulz nell’aula europarlamentare, all’inizio del semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue, nel 2003; né ci ricordiamo di aver visto di recente il Mastrolaido minare le scariche della mitraglia all’indirizzo dei giornalisti russi, durante una conferenza stampa.
L’informazione quotidiana, ahinoi, è puntualmente adulterata. I più fortunati riescono a fare la tara e a farsi comunque un’idea del Paese in cui vivono. Gli altri no. E da come votano, purtroppo, alla fine si vede.
venerdì 15 maggio 2009
Signor S., permette una domanda?
martedì 12 maggio 2009
Sono anche fatti miei
Più d’uno, nei giorni scorsi, ha opposto al mio interessamento l’obiezione che si tratta di una vicenda privata. A mio avviso, non lo è. Ecco perché.
Nelle dichiarazioni riportate da Repubblica il 3 maggio, Veronica è finalmente sbottata: “non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni”. E ha confessato: “ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. E’ stato tutto inutile”.
Primo punto: le minorenni. Breve riassunto delle puntate precedenti.
La sera del 26 aprile, il nostro arzillo presidente del Consiglio si è portato alla festa di diciotto anni di una squinzietta di Napoli, tale Noemi Letizia, aspetto gradevole e sogni da star. Famiglia modesta, il papà è un impiegato comunale che guadagna poco più di 12mila euro l’anno e la mamma una bella donna con qualche esperienza in tv locali.
Come si sono conosciuti? Che rapporto c’è tra loro? In oltre due settimane, nessuno è stato in grado di chiarirlo. E molti, senza l’appiglio di risposte convincenti, hanno formulato le ipotesi peggiori. Cioè che il nostro capo del governo – 73 anni a settembre – possa aver intrattenuto, o intrattenga ancora, una relazione di natura tutt’altro che filiale con la neodiciottenne.
E’ importante che il primo ministro in carica precisi, una volta per tutte, che non è affatto così. E che ci dica quando, dove, come e per mezzo di chi ha incontrato la ragazza. Anche con un’audizione in Parlamento. Perché, a meno che il codice penale non sia cambiato, in Italia esiste una legge, la 38/2006, che punisce “chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica”. Insomma, farsi una minorenne in cambio di regali, gioielli, promesse di fulminea carriera nello spettacolo e/o nella politica è reato. Ed è di pubblica rilevanza che il nostro primo ministro ci liberi una volta per tutte dal sospetto di essersene macchiato.
Altro punto: la salute. In che senso il nostro presidente del Consiglio “non sta bene”? E’ in grado di continuare il proprio lavoro? Sarebbe così cortese da darci rassicurazioni in merito? In oltre due settimane, nessuno l’ha fatto.
E sfido chiunque a dire ancora che si tratta di faccende private.
venerdì 8 maggio 2009
Una Rosa per Matteo
Finché questo spiacevole equivoco non sarà chiarito, non posso che figurarmi due sole, possibili soluzioni. O attuo finalmente le fantasie da tempo coltivate e mi procuro documenti falsi dai quali risulto essere Ludovica Brambilla Fumagalli, 25 anni (giacché devo falsificare, falsifico per bene), nata e cresciuta a Milano, lavorando nel contempo sull’inflessione dialettale, non ancora perfettamente ambrosiana. Oppure riscopro l’orgoglio delle origini, mi metto comoda sul sedile riservato ai milanesi e – come Rosa Louise Parks, la donna di colore che nel 1955 si rifiutò di cedere il proprio posto in autobus a un bianco nella razzista America – spernacchio chiunque mi intimi di alzarmi e mettermi in un cantuccio.
Pensandoci bene, la seconda soluzione darebbe assai più soddisfazione.
giovedì 7 maggio 2009
Se telefonando
In altre parole, o le due leggi passano l’esame del Parlamento con la maggioranza dei voti oppure cade il governo. La fiducia è solitamente un modo per blindare una legge, cioè per portarla a sicura approvazione proteggendola dai colpi dei cosiddetti “franchi tiratori” (quei parlamentari che pur essendo dalla parte politica di chi propone una legge votano contro). Con la fiducia, la Lega protegge la legge sulla sicurezza dai voti contrari degli alleati del Pdl (An in particolare) e il Pdl protegge la misura anti-intercettazioni.
Parliamone. Ecco cosa prevede il ddl intercettazioni: le intercettazioni saranno consentite soltanto per i reati che prevedono una pena superiore ai cinque anni, esclusi mafia e terrorismo (e come si fa a capire se è il caso o no di consentirle, visto che assai spesso è proprio tramite intercettazione che si aprono le indagini, si raccolgono elementi di prova e si comprende quanto grave è un reato e quanto dunque deve essere punito?); potranno avere una durata massima di 45 giorni, prorogabile per altri 15; i magistrati potranno concederle solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza (vai a capire quali); vietata la pubblicazione dei testi (forse al massimo una sintesi quando non saranno più coperti dal segreto); in caso di pubblicazione, il giornalista va incontro al carcere (pena minima sei mesi).
Ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che le intercettazioni telefoniche sono tra i più grandi timori degli italiani. “Ai miei comizi”, ci ha detto tante volte il primo ministro Silvio Berlusconi, “quando chiedo chi ha paura di essere intercettato, tutti alzano la mano”. Strano. Mai conosciuto alcuno che confessasse una tale preoccupazione. Poi sfoglio il libro che sto leggendo, “Se li conosci li eviti” di Peter Gomez e Marco Travaglio, e un altro libro degli stessi autori, “Onorevoli wanted”, e in un colpo d’occhio mi è chiaro chi davvero teme di essere intercettato. Teme di essere intercettato chi ha qualcosa – spesso parecchie cose – da nascondere. Temono di essere intercettati molti di quelli che oggi siedono sugli scranni di Camera e Senato. Per intenderci, gli stessi che lunedì 18 maggio saranno chiamati a votare la fiducia sul provvedimento anti-intercettazioni. Istinto di autoconservazione, come si dice.
mercoledì 6 maggio 2009
Telefilm di ieri e di oggi
Le storie raccontate nella serie, ispirata al romanzo dello scrittore Giancarlo De Cataldo, si svolgono nella Roma di piombo degli anni Settanta. “L’avevo detto fin dall'inizio che alcune operazioni culturali come ‘Romanzo criminale’ o altre simili non aiutano”, ha tuonato il primo cittadino. “Hanno lanciato mode, atteggiamenti e modi di fare sbagliati”.
Replica a stretto giro del produttore Riccardo Tozzi, di Michele Placido, consulente artistico del telefilm e regista dell'omonimo film, e di De Cataldo.
Voci anche dall’opposizione. Francesco Rutelli (Pd): “una sciocchezza”. Roberto Rao (Udc): “scaricare su una serie televisiva la colpa delle sempre più frequenti risse tra giovani armati di coltello è imbarazzante prima ancora che ridicolo”.
Questa la vicenda. Poi sfoglio il libro che sto leggendo, “Se li conosci li eviti” (di Peter Gomez e Marco Travaglio, vedi colonna a destra), e a pagina 66 leggo che il 20 novembre del 1981 Alemanno fu arrestato a Roma “con l’accusa di aver partecipato con quattro camerati all’aggressione di uno studente di ventitré anni: un pestaggio con tanto di spranghe di ferro, costato al giovane il ricovero per dieci giorni in ospedale”. In seguito, Alemanno fu assolto per non aver commesso il fatto.
Anyway, chissà quali telefilm trasmettevano all’epoca.
martedì 5 maggio 2009
Cuore e batticuore
Lo abbiamo rivisto in edizione restaurata la sera del 5 maggio in apertura dei principali tiggì. Giusto il tempo di far preparare al team del capo del governo e di Mediaset Silvio Berlusconi un adeguato piano di contrattacco, ed ecco che finalmente i maggiori notiziari nazionali si sono decisi ad aprire l’edizione della sera con la storia che da quasi due settimane imperversa su giornali, siti web e televisioni di tutto il mondo: l’annunciato e, pare, imminente divorzio tra il nostro primo ministro e sua moglie, Veronica Lario. Istruttivo.
Quasi quanto “Porta a porta”, che per dare spazio al presidente del Consiglio e alla sua linea difensiva è arrivato a tirare in ballo, nell'ordine: il primo anno di vita del nuovo governo Berlusconi; un mese esatto dal terremoto in Abruzzo; il decreto sulla ricostruzione nel dopo terremoto in Abruzzo; le promesse di Berlusconi sulla consegna di nuove case agli abruzzesi. Pregiatissimo.
Per finire. Si prevedono vendite record per “Chi”, da mercoledì in edicola. Con tutti i retroscena della festa di compleanno della neodiciottenne Noemi. Come negarlo: golosissimo.
Piatto ricco
Sono però d’accordo con il direttore di La7 News e Sport Antonello Piroso, che ancora oggi, a “Omnibus”, ricordava: nel mondo, intanto, altri fatti si susseguono.
Per esempio. Ieri, lunedì 4 maggio, a Palermo, nel corso del convegno “Sud 2007-2013. Ultima occasione”, è stata apposta la firma sul “contratto per il Sud”, un documento contenente gli impegni del governo a favore del Mezzogiorno.Oltre al ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, all’incontro c’erano: Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica); Mauro Moretti, amministratore delegato Ferrovie dello Stato; Fulvio Conti, ad Enel; Massimo Ponzellini, presidente Impregilo; Giuseppe Mussari, presidente Monte Paschi di Siena.
E di che cifre si parla, di grazia? Lo apprendiamo dal testo dell’intervento del ministro Scajola. “Nell’ultima seduta del Cipe, il governo ha destinato 17,8 miliardi di euro alle infrastrutture: con queste risorse, si potrà avviare la realizzazione del ponte sullo Stretto, completare la Salerno-Reggio Calabria, la statale Jonica, la rete regionale campana, le linee metropolitane di Napoli, Palermo e Catania”. Tutte opere che “si aggiungeranno alle altre già completate o in avanzato stato di realizzazione: la ristrutturazione degli aeroporti di Palermo e Catania, il consolidamento e ammodernamento dei porti di Palermo e Messina, gli interventi sulle tratte autostradali Siracusa-Gela e Caltanissetta-Gela e ferrovie Palermo-Messina e Palermo-Punta Raisi”. E ancora: “abbiamo concluso in tempi rapidissimi l’istruttoria del Programma attuativo regionale (Fas), per trasmetterlo al prossimo Cipe”. Ciò vuol dire “risorse per oltre 4 miliardi di euro da spendere qui, in Sicilia”. A tutto questo vanno sommati i “fondi strutturali europei”, che costituiscono “un’opportunità da non perdere”, e i “capitali privati”. E poi investimenti per il comparto turistico, l’innovazione e la ricerca.
Precisando che siamo assolutamente convinti della buona fede di quanti erano al convegno (e ci mancherebbe altro), la storia ci insegna che dove c’è piatto ricco c’è anche qualcuno ansioso di ficcarcisi. Sempre a scapito dell’interesse nazionale. Quindi, il governo ci rassicuri che vigilerà sui flussi di denaro e sui lavori pubblici: affinché siano davvero utili alla comunità; affinché nessuno ci guadagni costruendo alla meno peggio, stile Abruzzo; affinché le mafie non mettano neppure un dito – neanche per sbaglio – su appalti e/o subappalti.
P. S. Ci ha fatto tremare i polsi l’inserimento, nel ddl sicurezza, della misura che – di fatto – rimuove l’obbligo per l’imprenditore di denunciare il pizzo. Ma un disegno di legge non è ancora una legge. Prima che lo diventi, il Parlamento ha tempo e modo di porre rimedio alle sviste. Ci aspettiamo, e speriamo, che la rimozione venga rimossa.
giovedì 30 aprile 2009
C'era una volta un re
Riassunto delle puntate precedenti. Silvio, potente signore della penisola italica, si reca a Napoli nella sera di domenica 26 aprile in vista di un impegno in città il giorno successivo. Prima di coricarsi, il noto tiratardi – quasi 73 anni all’anagrafe, 35 nel corpo e nell’anima – fa tappa a una festa per un diciottesimo compleanno. La profana celebrazione è in un luogo non proprio vicino al centro. Ma tant’è. Lui va e suscita in sala sorpresa, stupore, giubilo. La festeggiata non riesce a credere che “papi” – così lo chiama – sia davvero là. Ma lui c’è. E presto è su tutti i giornali e siti web. Per questo – e per le ventilate candidature di procaci starlette di cui abbiamo già parlato – la “prima signora” Veronica Lario si risente moltissimo. E affida all’agenzia Ansa parole cariche di indignazione. “Al diciottesimo dei nostri figli non è mai venuto, pur essendo stato invitato”, rivela.
Tra scambi di battute e dichiarazioni alla stampa, l’intera vicenda non si è ancora conclusa. Ci offre però lo spunto per riflettere su quanto un solo uomo non soltanto abbia impregnato della propria essenza un intero Paese – le sue faccende private sono le faccende di tutti, complici il suo carisma e soprattutto la molteplicità dei ruoli di primissimo piano che ricopre – ma abbia cancellato ogni confine tra sfera pubblica e sfera privata. Perché, come nell’età dei re e degli imperatori, la sua sfera privata è oramai la nostra sfera pubblica. Le sue relazioni, le sue amicizie, i favori che ha ricevuto e quelli che ha concesso danno forma, sostanza e indirizzo all’agenda e alle istituzioni politiche.
Tutto questo già si sa. E l’“affaire Noemi” fa tristezza non per quel che è, ma per quel che ci ricorda. E che non ci indigna mai abbastanza.
martedì 28 aprile 2009
La quadratura del Centro
Sono forse l’unica ad aver notato quanto stanno continuando a pizzicarsi Forza Italia e Alleanza nazionale dopo le nozze, celebrate a Roma con rito civile lo scorso 27 e 28 marzo? Prendiamo l’ultimo caso, quello delle vallette scelte e addestrate all’ultimo momento per il seggio del Parlamento europeo. Una corsa a cui pare parteciperà l’ex annunciatrice Rai Barbara Matera. Per farla breve. Il 6 e 7 giugno voteremo per il rinnovo del Parlamento europeo. Partiti e coalizioni lavorano alle liste dei candidati. Servono volti giovani e piacenti, avranno pensato dalle parti di Fi. Ed ecco dunque spuntare dal cilindro del colosso televisivo Raiset – nato dall’unione di fatto tra Rai e Mediaset – una manciata di aspiranti eurodeputate. Le fanciulle hanno partecipato a un corso intensivo tenuto a Roma da docenti del calibro di Franco Frattini, attuale ministro degli Esteri, e Renato Brunetta, responsabile del dicastero della Pubblica amministrazione. Non tutte hanno superato la prova. Ma almeno un volto giovane, femminile e bellissimo per la competizione elettorale sembra ora assicurato. L’intera faccenda non è piaciuta molto a quelli di An. “Le donne devono avere la possibilità di accedere alla politica, e nei posti di rilievo, purché siano competenti e preparate”, si legge su Ffwemagazine, giornale online della Fondazione Farefuturo, legata ad Alleanza nazionale. “I pensatori di Fini mettono il burqa alle donne in politica”, ha subito rinfacciato “Il Giornale” (di casa Berlusconi). Lo stesso Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati e leader di An, è intervenuto nel dibattito con una nota, nel tentativo di sforzarlo. “Valutazioni comprensibili ma eccessive” quelle di Farefuturo, quindi “non totalmente condivisibili”. Al di là dell’ennesima polemica interna, che evidenzia le insofferenze di An e segue le ben più rilevanti tensioni tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (principale ispiratore e leader di Forza Italia) e Fini sul ruolo istituzionale del capo dello Stato, c’è da chiedersi quanto terrà il matrimonio di convenienza tra due forze politiche tanto diverse per storia e natura, oltre che per usi e costumi (quelli di An indubbiamente più morigerati). E quanto impiegherà Berlusconi a mettere da parte Fini per spostarsi dove gli sarebbe più congeniale. Verso il Centro. Di Pier Ferdinando Casini, magari.
giovedì 23 aprile 2009
Ottimo lavoro, ragazzi
Il consiglio dei ministri si è riunito oggi a L’Aquila. E i nostri onorevoli stipendiati hanno deciso che: 1) la ricostruzione costerà 8 miliardi di euro; 2) neanche un centesimo verrà estorto agli italiani sotto forma di nuove tasse, annuncio questo pompato da tutti i telegiornali con entusiastico vigore; 3) si rivedrà invece il bilancio dello Stato, eventualmente ritoccando la spesa pubblica.
Ritoccando la spesa pubblica. Interessante. Mara Z., 33 anni, insegna in una scuola elementare del Nord Est. Per disposizioni dell’istituto, può produrre cinquanta-fotocopie-cinquanta al mese. Per diciassette alunni. E tre materie: matematica, geometria e scienze. Il prossimo anno potrà forse farne venti al mese. O, se sarà fortunata, trenta. Chissà.
Certo è che i conti pubblici dovranno essere tenuti sotto controllo, se è vero che – come ci informa il Fondo monetario internazionale – ci aspetta un debito al 121% del prodotto interno lordo. E non stupiamoci se, di quando in quando, il mercato evita i nostri bond.
Ci auguriamo che si tagli dove si può tagliare. E come si può tagliare.
Altra novità da L’Aquila. Il G8 di luglio si farà non più alla Maddalena, in Sardegna, ma in Abruzzo. Traversando una città ormai sgombera dalle macerie – e per allora sarà di certo stata sgomberata, se non altro per esigenze scenografiche – i leader degli Otto Grandi si riuniranno in un centro dove ogni forma di contestazione sarà tenuta lontana dall’uso strumentale del ricordo di chi sotto le macerie è morto o ha perso tutto. Chiunque volesse manifestare, in quei giorni e in quella occasione, verrebbe additato come sciacallo. Insomma, la forza delle ragioni – e io ho a cuore quelle dei più pacifici, che sono sempre i più efficaci – è stata disinnescata con ben tre mesi di anticipo. Ottimo lavoro, ragazzi.
mercoledì 22 aprile 2009
Pompare l'attesa spompa
Il 31 marzo è scaduto il termine entro il quale General Motors e Chrysler avrebbero dovuto presentare i propri piani di ristrutturazione per ottenere dal governo americano altri fondi. Progetti alla mano, l’amministrazione Obama ha rimandato GM a fine maggio, e la più piccola di Detroit a fine aprile. Per la prossima settimana sono attese dunque notizie da Chrysler, che in quella data potrebbe finalmente annunciare l’accordo con l'italiana Fiat. Un accordo che prevede, tra l'altro, la condivisione delle piattaforme tecnologiche e l’ingresso della casa di Torino nel capitale della collega americana.
Ora, non credo di esagerare se dico che è dai primi di aprile che quotidiani, tg, gr, agenzie e siti web raccontano di “ore decisive per l’accordo Fiat-Chrysler”, senza poi annunciare niente di nuovo. Alcuni spunti e anticipazioni, per la verità, sono parsi molto interessanti. Uno su tutti: l’attuale ad di Fiat Sergio Marchionne futuro numero uno di Chrysler.
Presto ne sapremo di più. Intanto, per favore quotidiani, tg, gr, agenzie e siti web: diamo la notizia quando c’è la notizia. Pompare l’attesa spompa. Soprattutto il pubblico.